TOTTA e DYLAN

MOSTRA PERSONALE - 1988

recensione di Ninni Caricato




il supporto di queste tre strutture tipo è stato rivestito con Print Lumiphos / ABET LAMINATI - effetto fotoluminescente

Decostruttivismo

Dal 23 giugno al 30 agosto del lontano 1988 al Museum of Modern Art di New York si realizzava la mostra Deconstructivist Architecture organizzata dall’architetto Philip Johnson.

Vi erano esposti disegni e plastici di:

- Coop Himmelb(l)au / Wolf Prix (Austria, 1942), Helmut Swiczinsky (Polonia, 1944)
- Peter Eisenman (USA, 1932)
- Frank Owen Gehry (Canada, 1929)
- Zaha Hadid (Iraq, 1950)
- Rem Koolhaas (Olanda, 1945)
- Daniel Libeskind (Polonia, 1946)
- Bernard Tschumi (Svizzera, 1944)

Nello stesso anno dal 25 giugno al 5 luglio esponevo, in una mostra personale, i miei lavori planivolumetrici: unità spaziali.

Pertanto, nella mia recensione affermavo categoricamente quanto segue:

L’analisi della ricerca teorica che la cultura architettonica corrente, fantastica (spesso folle), propone attraverso studi, progettazioni, realizzazioni sperimentali, conduce ad un concentramento radicale di cambiamenti, per essere all’altezza delle esigenze del XXI secolo in un contesto dove la nuova architettura (intesa in senso globale come urbanistica, architettura privata e design) potrà prender vita”.

“Individuate queste costanti, in gran parte teoriche, che connotano l’interesse verso il futuro rapporto individuo-ambiente, la mia operatività tende:
- a sollecitare attraverso l’idea delle unità spaziali, una riflessione critica sul modo in cui attualmente ci viene fornita l’organizzazione ambientale, che annulla ogni libertà e capacità inventiva;
- a creare stimoli fruibili come esercizio all’immaginazione e alla capacità creativa;
- a tener viva la tensione tra aspirazione e realtà attraverso la fuga nell’utopia progettuale, che esplicita la denuncia dell’impossibilità di sopravvivenza allo stato attuale delle cose.
Le unità spaziali sono la risultanza del sovvertimento degli elementi strutturali caratterizzanti l’architettura contemporanea e la ricomposizione su altri registri, rielaborando e trasformando aspetti desunti dal reale e proiettati su un piano di pura concettualità.
Si configurano, così, come archetipi e simboli”.

“Si propongono così schemi, sistemi, soluzioni che intendono rispondere più alle esigenze dell’estetica che ad una funzionalità contingente, in una visione atemporale, tuttavia, proiettata in una realtà imminente, di cui già si prefigurano i connotati.
Nella continua variabilità sperimentale, il progetto permane tra astrazione e realtà ed è ipotesi per le grandi sculture abitabili”.

In un certo senso anch’io proponevo un manifesto, nella mia sempre pura ribellione e nella mia sempre pura e continua ricerca.
Con questo voglio soltanto ricordare storicamente una fase del mio processo artistico, in un momento importante dell’architettura contemporanea di quel periodo, l’architettura decostruttivista che stava fissando un caposaldo non solo nel campo della ricerca sperimentale ma soprattutto nel campo delle concrete realizzazioni strutturali.

Orbene, l’editoriale del mensile L’architettura, novembre 1988, intitolava "L’effervescenza eversiva del decostruttivismo" ed apriva affermando che il manifesto affisso sulle pareti del MOMA era esplicito e possedeva una tensione rivoluzionaria:

“I progetti esposti in questa mostra evidenziano l’emergenza di una nuova sensibilità in architettura.
Essi contestano alla radicele idee tradizionali sulla natura dell’oggetto architettonico.
Tradizionalmente l’architetto ha cercato di produrre pura forma basta sull’inviolabile integrità di figure geometriche semplici.
L’architetto evita che queste figure siano contaminate al fine di sostenere i valori culturali della stabilità, dell’armonia, della sicurezza, del comfort, dell’ordine e dell’unità. In questi progetti invece la forma pura è stata contaminata, trasformando l’architettura in un agente di instabilità, disarmonia, insicurezza, scomodità, disordine e conflitto…
Ciascun progetto interroga il linguaggio acquisito dell’architettura moderna e scopre, repressa tra le sue forme pure, l’impura, sghemba geometria - i volumi attorcigliati, i piani ricurvi, le linee che cozzano - elaborata dall’avanguardia russa al principio del secolo.
La forma pura è violentata ma non distrutta: questa è un’architettura di smembramento, dislocazione, spiazzamento e distorsione, ma non di smaltimento o demolizione…”

L’editoriale, proseguendo chiariva:

“Va subito precisato che la tradizione architettonica non si basa affatto sull’inviolabile integrità di figure geometriche semplici. Solo il classicismo e il neo classicismo si nutrono di queste velleità astratte e repressive. Basti pensare all’epopea medievale e a quella autentica (non classicizzata) del barocco per constatare che la disarmonia, la conflittualità, il disordine sono da sempre fondamentali strumenti comunicativi dell’architettura. Lo stesso può dirsi del movimento moderno: l’ideale della forma pura è stato coltivato in alcune ricerche cubiste; ma l’espressionismo, il futurismo, il neoplasticismo De Stijl lo hanno clamorosamente smentito. Negli ultimi sessant’anni, la forma pura e la geometria elementare sono stati sinonimi di accademia, involuzionepassatista o fradicio post-moderno”.

L’editoriale, inoltre affermava:

L’architettura decostruttivista è culturalmente decisiva: riannoda la ricerca attuale a quella dell’avanguardia, e perciò sconfessa, cancella, riduce alla vergogna la neoaccademia e il post-moderno. Ci libera da questi ingombranti cadaveri, e dai dogmi, dai tabù dell’armonia, stabilità, equilibrio, proporzione, simmetria.
Un’architettura decostruttivista simmetrica è una contraddizione in termini.
Nei prossimi decenni ci si riferirà al decostruttivismo 1988 come ad un evento che ha ricondotto l’architettura moderna su i suoi binari”.

E così è stato.

L’editoriale, in conclusione vagliava il decostruttivismo col metro delle sette invarianti del linguaggio moderno:

1. L’elenco come metodologia progettuale
Il decostruttivismo conferma questa invariante in quanto rifiuta le sintesi a priori del classicismo e le loro formalistiche armonie. Il decostruttivismo riporta l’architettura ai contenuti e alle funzioni.
2­. Asimmetria e dissonanze
Questo principio è pienamente inverato dai decostruttivisti. Essi incarnano la destabilizzazione, la conflittualità, la disarmonia: rilanciano l’eredità non solo del costruttivismo sovietico, ma dell’intero movimento moderno.
3. Tridimensionalità antiprospettica
De-costruire implica ripudiare l’apparato irreggimentatorio della visione prospettica. Non più leggi, perentori concatenamenti, rapporti fissi nello spazio, divisione tra oggetto e intorno, tra città e campagna. La tridimensionalità convenzionale viene infranta, si decostruisce, si apre.
4. Sintassi della scomposizione quadridimensionale
Scomposizione, destrutturazione, decostruzione sono termini equivalenti. Il costruttivismo sovietico incontra il neoplasticismo olandese “De Stijl”. Non sono la stessa cosa, ma il loro intento converge nel cercare un lessico, una grammatica e una sintassi dell’anticlassicismo.
5. Strutture in aggetto, gusci e membrane
Eliminando la scatola chiusa e le figure geometriche elementari,il decopstruttivismo emancipa le strutture dalla sicurezza ingegneristica, incentiva gli esperimenti rischiosi, il gusto del pericolo.
6. Temporalità dello spazio
Indubbiamente il decostruttivismo ha una coscienza dinamica, cinetica delle cavità vissute, le smembra, le frantuma, le scompone, e quindi crea spazi anche se la fluida immagine spaziale non sembra costituire il suo obiettivo primario.
7. Reintegrazione edificio-città-territorio
Decostruire l’edificio equivale a decostruire il suo contesto urbano e territoriale. Decostruendo tutto si reintegra, in quanto le varie parti decostruite dialogano tra loro. Il decostruttivismo si ferma a questo tipo di integrazione, non va più in là.

Filatelia e fotografia



Francobollo della Croazia, emesso l'8 aprile 2005, vincitore del XXIV Premio Internazionale d’arte filatelica a soggetto religioso “San Gabriele”, svolto il 24 settembre 2006 presso la Sala delle Ceramiche del Museo Fioroni di Legnago, Verona.

Bozzetto realizzato e adattato da Sanja Rešček (1978) giovane artista dell’Accademia delle Arti di Zagabria.

Il soggetto rappresentato è un ritratto di Papa Giovanni Paolo II ripreso dal fotografo Gabriel Bouys - AFP, durante la visita del pontefice a Maribor, in Slovenia, 1l 19 settembre 1999, mentre celebra la beatificazione di Anton Martin Slomsek (1800-1892), primo vescovo di Maribor.

Don Chisciotte



Don Chisciotte

Don Chisciotte
Ho letto millanta storie di cavalieri erranti,
di imprese e di vittorie dei giusti sui prepotenti
per starmene ancora chiuso coi miei libri in questa stanza
come un vigliacco ozioso, sordo ad ogni sofferenza.
Nel mondo oggi più di ieri domina l'ingiustizia,
ma di eroici cavalieri non abbiamo più notizia;
proprio per questo, Sancho, c'è bisogno soprattutto
d'uno slancio generoso, fosse anche un sogno matto:
vammi a prendere la sella, che il mio impegno ardimentoso
l'ho promesso alla mia bella, Dulcinea del Toboso,
e a te Sancho io prometto che guadagnerai un castello,
ma un rifiuto non l'accetto, forza sellami il cavallo!
Tu sarai il mio scudiero, la mia ombra confortante
e con questo cuore puro, col mio scudo e Ronzinante
colpirò con la mia lancia l'ingiustizia giorno e notte,
com'è vero nella Mancha che mi chiamo Don Chisciotte…

Sancho Panza
Questo folle non sta bene, ha bisogno di un dottore;
contraddirlo non conviene, non è mai di buon umore…
E' la più triste figura che sia apparsa sulla Terra,
cavalier senza paura di una solitaria guerra
cominciata per amore di una donna conosciuta
dentro a una locanda ad ore dove fa la prostituta,
ma credendo di aver visto una vera principessa,
lui ha voluto ad ogni costo farle quella sua promessa.
E così da giorni abbiamo solo calci nel sedere,
non sappiamo dove siamo, senza pane e senza bere
e questo pazzo scatenato che è il più ingenuo dei bambini
proprio ieri si è stroncato fra le pale dei mulini…
E' un testardo, un idealista, troppi sogni ha nel cervello:
io che sono più realista mi accontento di un castello.
Mi farà Governatore e avrò terre in abbondanza,
quant'è vero che anch'io ho un cuore e che mi chiamo Sancho Panza…

Don Chisciotte
Salta in piedi Sancho, è tardi, non vorrai dormire ancora,
solo i cinici e i codardi non si svegliano all'aurora:
per i primi è indifferenza e disprezzo dei valori
e per gli altri è riluttanza nei confronti dei doveri!
L'ingiustizia non è il solo male che divora il mondo,
anche l'anima dell'uomo ha toccato spesso il fondo,
ma dobbiamo fare presto perché più che il tempo passa
il nemico si fa d'ombra e s'ingarbuglia la matassa…

Sancho Panza
A proposito di questo farsi d'ombra delle cose,
l'altro giorno quando ha visto quelle pecore indifese
le ha attaccate come fossero un esercito di Mori,
ma che alla fine ci mordessero oltre i cani anche i pastori
era chiaro come il giorno, non è vero, mio Signore?
Io sarò un codardo e dormo, ma non sono un traditore,
credo solo in quel che vedo e la realtà per me rimane
il solo metro che possiedo, com'è vero… che ora ho fame!

Don Chisciotte
Sancho ascoltami, ti prego, sono stato anch'io un realista,
ma ormai oggi me ne frego e, anche se ho una buona vista,
l'apparenza delle cose come vedi non m'inganna,
preferisco le sorprese di quest'anima tiranna
che trasforma coi suoi trucchi la realtà che hai lì davanti,
ma ti apre nuovi occhi e ti accende i sentimenti.
Prima d'oggi mi annoiavo e volevo anche morire,
ma ora sono un uomo nuovo che non teme di soffrire…

Sancho Panza
Mio Signore, io purtroppo sono un povero ignorante
e del suo discorso astratto ci ho capito poco o niente,
ma anche ammesso che il coraggio mi cancelli la pigrizia,
riusciremo noi da soli a riportare la giustizia?
In un mondo dove il male è di casa e ha vinto sempre,
dove regna il Capitale, oggi più spietatamente,
riuscirà con questo brocco e questo inutile scudiero
al Potere dare scacco e salvare il mondo intero?

Don Chisciotte
Mi vuoi dire, caro Sancho, che dovrei tirarmi indietro
perchè il Male ed il Potere hanno un aspetto così tetro?
Dovrei anche rinunciare ad un po' di dignità,
farmi umile e accettare che sia questa la realtà?

Don Chisciotte e Sancho Panza
Il Potere è l'immondizia della storia degli umani
e, anche se siamo soltanto due romantici rottami,
sputeremo il cuore in faccia all'ingiustizia giorno e notte:
siamo i "Grandi della Mancha",
Sancho Panza... e Don Chisciotte!

Da Stagioni - 19° album di Francesco Guccini - 2000

TESTO
Giuseppe Dati e Francesco Guccini
MUSICA
Giuseppe Dati e Goffredo Orlandi
VOCE
Francesco Guccini e Juan Carlos "Flaco" Biondini

Eventi e manifestazioni

Festa dell'Aquilone ad Urbino



“... Or siam fermi;
abbiam in faccia Urbino ventoso:
ognuno manda da una balza
la sua cometa per il ciel turchino…”

Questo il riferimento storic0 alla famosa poesia di Giovanni Pascoli “L’Aquilone”, scritta in ricordo di quel tempo passato ad Urbino come scolaro del Collegio degli Scolopi.

Nata tra le Contrade, la Festa è cara agli urbinati di ogni età che da bambini hanno tutti costruito e lanciato le loro comete.

E’ quindi una vera tradizione quella di costruire aquiloni ad Urbino, spesso alla maniera classica: carta oleata, canne di fosso, colla di farina e tanta fantasia.

La tradizione della festa ha inoltre prodotto una ricerca evolutiva, portando ad Urbino anche aquiloni moderni e tutta una serie di iniziative inerenti il mondo del volo.

La manifestazione appare come proposta di svago, di creatività e semplicità; è infatti magia e poesia quell’idea concreta di libertà tenuta in mano, legata ad un filo che è appunto l’Aquilone.

La festa ha il suo momento culminante nella Gara tra le contrade sulle balze dei monti delle Cesane, nel tentativo di far salire l’Aquilone più alto.

Si potranno ammirare centinaia di comete in volo, proprio di fronte al quel famoso Urbino ventoso.

Dal depliant della manifestazione 2006 - festaquilone.it

Foto di Ninni Caricato