TOTTA e DYLAN

L’arte ti fa guarire

Sei un adolescente in crisi? Un depresso? Un marito o una moglie nel pieno d’un rapporto coniugale difficile? Un giocatore compulsivo? Una persona così narcisista da trascurare tutti gli altri? Un video d’arte ti salverà. O, meglio, ti aiuterà nella tua battaglia contro il disagio psicologico. Perché certe opere d’arte contemporanea “posseggono una forza che tocca le parti più segrete e profonde della personalità. E muovono, consolano, rompono gli schemi, rovesciano i significati, specchiano, perturbano, stimolano l’emergenza di nuove risorse in un’esperienza che ha molto a che vedere con la catarsi”.

Rebecca Luciana Russo, psicologa e psicoterapeuta, ha codificato queste sue certezze in un metodo: utilizzare l’arte come coadiuvante per migliorare la vita, visto che il suo impatto può, in certi casi, “risultare superiore a quello delle parole in quanto le immagini penetrano nell’inconscio con maggior forza e velocità”. E il metodo è diventato un volume che arriverà nelle librerie nei prossimi giorni, “Videoinsight. Curare con l’arte” edito da Silvana Editoriale in due edizioni, italiana e inglese: racconto, rigoroso come un saggio scientifico ma anche affascinante come un viaggio nell’isola ignota che ognuno di noi è per se stesso.

La prima parte indaga la potenza delle foto e dei video d’arte quando vengono introdotti in un trattamento psicoterapeutico “che abbia già una sua storia basata sulla fiducia reciproca, l’alleanza di lavoro, l’empatia e la loro capacità d’aggiungere un valore in grado di aumentare l’efficacia dell’intervento”. La seconda presenta 14 casi clinici seguiti attraverso la "somministrazione" di opere scelte tra quelle che più fortemente traducono in forme gli argomenti-chiave della psicoterapia.

E, così, “Piel” di Regina José Galindo (Città del Guatemala 1974) che cammina nuda e scalza per Venezia ha aiutato molti pazienti a superare, sotto la guida del terapeuta, problemi d’angoscia sociale, l’eccessivo timore del giudizio altrui, la tendenza a chiudersi e a isolarsi. Supporti che hanno, per esempio, indotto Monica a svelare finalmente ai genitori la propria omosessualità. E una laureanda di 27 anni - la chiameremo Maria - ha trovato nel video-art di Sissi (1977), “Daniela ha perso il treno”, un contributo per superare gli attacchi di panico connessi al timore nell’accettare un lavoro che l’avrebbe portata lontana dalla famiglia. “L’analisi approfondita della performance dell’artista che, nonostante vari tentativi, non riesce a salire sul vagone in partenza perché “appesantita” da un’ingombrante gonna realizzata con pneumatici, l’ha stimolata ad abbandonare il proprio bagaglio di ansie, doveri, pregiudizi e a prendere il treno della trasformazione interiore”. [01]

Il video “Glimà” dei Masbedo (Nicolò Masazza- 1973 & Jacopo Bedogni - 1970) ritrae un uomo e una donna collegati da lunghi filamenti che lottano sino allo sfinimento in una terra glaciale e suggestiva: “E’ l’appoggio ideale per persone che siano incapaci di svincolarsi da altre persone o anche da oggetti del desiderio: il cibo per i bulimici e gli obesi, ma anche l’alcol, il gioco, il sesso, il lavoro. Addirittura Internet”.


Nel recupero del rapporto di coppia “Togheter Forever” di Ottonella Mocellin (1966) e Nicola Pellegrini (1962) ha svolto un ruolo fondamentale, appaiato alle “parole” della psicoterapeuta: il filmato presenta una donna che tiene in mano un vassoio sul quale è appoggiata la testa mozzata del marito riproducendo l’episodio biblico di Salomè e del Battista. I due dialogano sul loro diverso modo di intendere la vita e aprono uno squarcio sui conflitti, la competitività, l’aggressività, la mancanza d’intimità e la rigidità dei ruoli che determinano la crisi di molti matrimoni”.


Ai malati di egocentrismo, esibizionismo e senso di grandiosità farebbe bene studiare “The cristal gaze” di Ursula Mayer (Austria 1970), opera nella quale tre donne eleganti e sensuali recitano un testo teatrale senza comunicare reciprocamente. Potrebbero trasmetterlo in televisione, come rimedio preventivo, prima di certi programmi che si reggono sulla smania dell’esibizionismo. E, magari, anche prima o dopo alcune edizioni dei telegiornali.


[01] Il nome che l’artista si è scelto è esso stesso una performance, una trasformazione. Portare il suo nome nel mondo rende Sissi oggetto stesso delle proprie opere. È un soprannome che Sissi si è ritrovata addosso al termine della performance per cui è diventata famosa, “Daniela ha perso il treno” (1999): lei, alla stazione di Bologna, vestita di consunti copertoni di macchine, che tenta di salire sul treno, intrappolata in una forma ingombrante che non le consente di oltrepassare le strette porte di accesso. Un costante confronto tra l’eleganza del gesto e l’imperturbabilità del contesto.

Notizie tratte da: lastampa.it / Renato Rizzo - 24.02.2011

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