TOTTA e DYLAN

3 - La statua di cartapesta più alta del mondo

L’utilizzazione per finalità artistiche della cartapesta - materiale leggero, versatile, di facile lavorazione, noto in Italia nel secolo XVII, soprattutto a Bologna, Venezia e Napoli - si diffonde a Lecce a iniziare dalla metà del Settecento, assumendo caratteristiche di tecnica autonoma.

Tra la fine del XVI secolo e per tutto il XVII secolo, Lecce ha costituito il centro del Mezzogiorno più ricco di insediamenti religiosi, secondo per importanza solo a Napoli. Si comprende quindi come dovesse essere elevata la richiesta di oggetti sacri: in effetti, le “imprese” formatesi nei numerosi cantieri avevano tra i propri collaboratori scalpellini e scultori di chiara fama.

Peraltro, agli inizi del XVIII secolo la richiesta di edilizia sacra diminuì considerevolmente, sicché le maestranze specializzate indirizzarono altrove l’acquisita professionalità. Fu così che scultori come Cesare Penna e Mauro Manieri iniziarono a dedicarsi a opere in stucco e, soprattutto il secondo, all’esecuzione di statue in cartapesta. E’ proprio grazie al Manieri – persona colta e tecnico di fiducia dell’aristocrazia locale, sempre attento a quanto accadeva nella Capitale – che, a quanto sembra, le tecniche “alla moda”, tra cui quella della cartapesta, entrarono a far parte del panorama figurativo leccese.

Inoltre, il ricorso alla cartapesta fu favorito dalla nascita, nella seconda metà del Settecento, di nuove forme di espressione della pratica religiosa collegate alle Confraternite che si manifestavano, in particolare, nei riti professionali della Settimana Santa: a quanto sembra, le statue settecentesche dell’Addolorata e dei Misteri delle processioni tarantine sono state eseguite a Lecce.

Nonostante la diffusione della tecnica della cartapesta, a noi sono pervenute poche opere; inoltre non si ha conoscenza dei nomi dei numerosi cartapestai che, verosimilmente, operarono all’epoca, risultando noti solo alcuni tra questi.

Tra gli stessi, spicca Pietro Surgente, soprannominato “mesciu Pietru delli Cristi”, giacché specializzato nella produzione di “Cristi”. Anche di questo Maestro, “geloso” dei suoi “segreti professionali”, sono rimaste poche opere.

L’arte del Surgente fu tramandata ai cartapestai attivi nel secolo XIX da altri artigiani, che avevano visto all’opera lo stesso, carpendone i segreti. Fu così che, proprio agli inizi di quel secolo, accanto a un gruppo di “barbieri” che si dedicavano alla produzione di pupi da presepio – esposti, come ancora si usa, il 13 dicembre alla fiera di S. Lucia e il 5 maggio a quella di S. Irene – iniziarono a operare alcuni artisti: Antonio Maccagnani, Achille De Lucrezi, Giovanni Andrea De Pascalis e Oronzo Greco. A quest’ultimo (nato a Lecce il 7 febbraio 1810), soprannominato “mesciu Ronzu facce de zita” (maestro Oronzo faccia da sposa), si deve la realizzazione della statua di San Giuseppe Patriarca, commissionata dai padri Gesuiti, per la chiesa di San Francesco alla Scarpa. Ad esecuzione ultimata la statua fu collocata in una nicchia dell'altare maggiore e nella circostanza la chiesa fu dedicata a San Giuseppe Patriarca, mutando la sua originaria intitolazione.


La statua di San Giuseppe Patriarca dopo il restauro

La statua, avente l'altezza di m 5,60, il perimetro massimo di m 6,20 e il peso complessivo di circa q 5,00, è considerata la statua in cartapesta più grande del mondo ed è un’importante testimonianza della produzione in cartapesta della prima metà dell’Ottocento, in considerazione del suo elevato valore plastico ed espressivo. Le grandi capacità artistiche del Greco risultano anche dal fitto panneggio che conferisce alla statua un gusto classico e dalla scelta della monocromia che simula gli effetti plastici della pietra leccese.


La statua di San Giuseppe Patriarca durante il restauro

Notizie e immagini sono tratte da:
Annunziata Piccolo - Magazine Caripuglia - G. LATERZA & Figli Editore, Bari, 1996

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