TOTTA e DYLAN

Capire l'arte contemporanea

Interessante articolo di Roberta Scorranese, pubblicato su Focus / Scoprire e capire il mondo n. 184/08, che spiega in maniera semplice e intelligente come capire l’arte contemporanea e perché dobbiamo smetterla di dire “questo sarei stato capace di farlo anch’io” davanti ad un’opera non realizzata secondo i canoni consueti…

Perché rifiuti, scarabocchi e oggetti comuni sono diventati il nuovo modo di esprimere idee.

Diciamo la verità: spesso l’arte moderna è un rebus.
Che ci sarà mai da ammirare nell’orinatoio di Marcel Duchamp o nelle tele bianche di Robert Ryman?
Eppure, queste opere sono entrate nella storia dell’arte, perché hanno espresso emozioni e idee universali. Certo, è cambiato il linguaggio: l’armonia di Raffaello ha ceduto il posto a provocazioni, show, disarmonie… che sono poi lo specchio della nostra epoca. Meglio conoscere i nuovi linguaggi dell’arte, quindi, per apprezzare le intuizioni degli artisti di oggi. Del resto, anche il realismo senza fronzoli di Caravaggio fece scandolo nel 1600…

Talvolta viene da pensare: sono capace di farla anch’io! Sbagliato. Ecco perché.

All’ultima Biennale di Venezia c’erano tre toilette blu, bianche e rosse. Guai a usarle: erano l’opera Liberté del norvegese Lars Ramberg (1964).

Lars Ramberg - Libertè, 1964 - 52° Biennale di Venezia

A New York l’argentino Rirkrit Tiravanija (1961) dopo aver cucinato in galleria, regala stoviglie untela pubblico: non è uno chef, ma un quotato artista la cui creatività consiste nel… far da mangiare agli spettatori.

Rirkrit Tiravanija... in galleria

Ma che cosa succede all’arte?
Perché oggi apprezziamo ciò che in passato erano semplici rifiuti?
E com’è possibile distinguere la vera arte dai bidoni?
Un fatto è certo: i tempi dei ritratti di Raffaello sono finiti. Merito o colpa della fotografia, che nel 1800 si sostituì, con più efficacia, alla capacità di pittura di riprodurre la realtà. Così le arti visive assunsero un nuovo ruolo: cominciarono a rappresentare non solo immagini, ma anche concetti. Una vera rivoluzione.

“Oggi non basta più saper dipingere realisticamente una mela, ma occorre saper rendere quel che di invisibile ha dentro” commenta Francesco Bonami, critico d’arte.
Cioè saper usare la mela per esprimere emozioni.

Per esempio l’artista inglese Damien Hirst (1965) invece di dipingere una mosca come avrebbe fatto Giotto, espone una vera mosca, in ali e cartilagine, su una tela. Oggi non serve più disegnare fedelmente una mosca, lo fa già la fotografia; quello che l’artista deve fare è suscitare una sensazione di ribrezzo con la mosca spiaccicata sulla tela.
L’arte insomma, non è più solo tecnica realistica, ma è idea, provocazione.

Damien Hirst - Disgust, 2006 (Mosche e resina su tela)

Nell’arte contemporanea, inoltre, intervengono altri due fattori, al di là della bravura tecnica e dell’estro creativo: il mercato e lo spettatore, che non è più solo un passivo osservatore, ma concorre a dare senso all’opera.
Il primo passo verso l’arte moderna fu, secondo lo storico dell’arte Pierre Rosenberg, il quadro I saltimbanchi (1901) di Pablo Picasso (1881-1973), in cui la realtà è stravolta con figure quasi mostruose.

Pablo Picasso - Les Deux Saltimbanques, 1901 - Museo Puškin, Mosca

Ma la vera rottura fu compiuta dal francese Marcel Duchamp (1877-1968) che nel 1917 presentò un orinatoio in ceramica, a cui diede il nome Fontana, valutato oggi 3,5 milioni di euro.


Marcel Duchamp - Fountain, 1917/1964 Readymade [01] - Galleria Nazionale d'Arte Moderna, Roma

(Originale perduto, replicato in multiplo di 12 esemplari nel 1964)

Con quest’opera Duchamp mostrò che, oggi, tutto può essere arte. Per fare un’opera non era più necessaria la conoscenza tecnica, bastava un’idea originale e sorretta da un buon marketing. L’orinatoio presentato come creazione artistica ha fatto scalpore e questo è bastato per convincere critici, mercanti e acquirenti che quella era vera arte. In più l’artista francese ha sancito un altro principio dell’arte contemporanea: almeno in teoria, tutti possono fare arte. Se riesci a vendere un orinatoio e a farlo pagare migliaia di euro, sei un genio!

Questo però non significa che l’arte oggi è tutta una bufala, che gli artisti sono solo geni del marketing o che tutti sono artisti” puntualizza Bonami. Ecco il punto. Quando vediamo le tele bianche del pittore americano Robert Ryman (1930) viene da pensare che sono trovate alla portata di tutti.

Bonami non è d’accordo: “Le tele bianche sembrano una sciocchezza alla portata di chiunque, ma ciò che conta è farle per primo. E il primo a osare l’inosabile è stato proprio Ryman nel 1955”.
Non solo: in quelle tele c’è un messaggio. Il pittore aveva intuito che oggi non spaventano tanto le guerre (messe in scena da Paolo Uccello nel XV secolo) quanto il vuoto e la noia. Se l’arte è espressione della società, questa è la società che abbiamo: vuota. E che cosa poteva meglio rappresentare la noia di una tela bianca? Ryman fa quindi arte: senza dare sfoggio di grandi capacità tecniche ma lanciando messaggi che ci fanno pensare.

Robert Ryman - Surface veil I, 1970 - Guggenheim Museum, New York

Ma chi lo dice che il messaggio è proprio quello e non si tratta di un artista incapace di dipingere? Spesso sono già gli autori stessi a svelare quali messaggi esprimono le loro opere. Come faceva, per esempio, l’italo-argentino Lucio Fontana.
Altri artisti, invece, sono scoperti e interpretati dai critici. Come Duchamp: si rifiutò sempre di spiegare il senso delle sue opere, limitandosi a dire che oggi l’arte è banalità. Il suo successo, quindi, è venuto dall’interpretazione dei critici. Il catalano Salvador Dalì faceva di più: presentava un’opera enigmatica e poi si divertiva a sconfessare le interpretazioni dei critici.

Insomma, il senso dell’arte, oggi, è tutto da cercare. E spesso non c’è una risposta univoca perché una stessa opera può suscitare emozioni diverse. Torniamo a Damien Hirst (1965): mette in mostra uno squalo vero conservato in formalina. Accanto a chi ne apprezza la forza spiazzante, ci sarà anche chi ne è disgustato. Ma resta comunque colpito.

Daniel Hirst - The Physical Impossibility Of Death In the Mind Of Someone Living, 1991

(L'impossibilità fisica della morte nella mente di un vivo - Squalo tigre)

In definitiva, oggi è arte ciò che, in varie forme, esprime quello che siamo.
Gli arazzi del senegalese Brahim El Anatsui (1944), fatti di tappi e oggetti metallici, sono l’equivalente delle stoffe preziose rinascimentali: la società di oggi vuole materiali fatti in serie e deperibili. Il messaggio è: oggi tutto dura poco.

Brahim El Anatsui - Dusasa I, 2007 - cm 762 x 609,6 - 52° Biennale di Venezia

(Alluminio, tappi di bottiglia e filo di rame)

Nel 1998 l’americano Joseph Kosuth (1945) presentava insegne luminose con scritte apparentemente senza senso, tipo “What does it mean?” (“Che cosa significa?”). Ovvero: molte cose che facciamo oggi (lo shopping compulsivo, il traffico…) non hanno senso.

Joseph Kosuth - Four Colors Four Words, 1966

In Mozzarella in carrozza (1968) Gino De Dominicis (1947-1998) ha esposto, letteralmente, una mozzarella in una carrozza nera di fine Ottocento. Arte o una fantozziana “boiata pazzesca”? Elevando un latticino a oggetto d’arte, il messaggio è: la nostra società si crea miti di carta, glorifica soubrette, paparazzi, finti opinionisti. Quindi, perché stupirsi se un artista mette una mozzarella in vetrina e non in un autentico capolavoro?
Lo faceva anche Caravaggio: con i suoi visi contorti dal dolore voleva dimostrare che la società non era fatta solo da re e nobili, ma anche da ubriaconi e prostitute. La mozzarella in carrozza di De Dominicis, mettendo in mostra la banalità, ci fa ridere ma al tempo stesso denuncia che tutti siamo schiavi della banalità, delle frasi fatte.

Gino De Dominicis - Calamita Cosmica, 1990 - cm 2400

(Milano, 2007, Mostra itinerante “Andata e ritorno” a cura di Italo Tomassoni e Vittorio Sgarbi )

Ma non è solo denuncia. Queste opere sono arte perché trattano gli stessi temi universali affrontati dai grandi del passato. La Merda di Artista di Piero Manzoni (1933-1963) fece scalpore nel 1961. Scopo? Mostrare la realtà cruda, come Caravaggio.

Nel XV secolo il pittore fiammingo Hieronymus Bosch dipingeva frati e suore in atteggiamenti ridicoli per denunciare il degrado della spiritualità. Ne 2003 lo scultore peruviano Jota Castro (1964) ha presentato Habemus Papam, una croce di alluminio cinta da una corona di dollari. Non è solo una provocazione, ma vera arte: c’è l’idea, l’impatto visivo, l’innovazione.
Altre volte, quello che sembra un errore è in realtà un messaggio profondo. O almeno così è venduto: Lucio Fontana (1899-1968) tagliava la tela con solchi profondi. Una stupidaggine? No. Un’altra rivoluzione: così la pittura acquisiva una terza dimensione andando a fare concorrenza alla scultura. Il taglio sulla tela è la conquista dello spazio: si va oltre la tela, mostrando una superficie che altrimenti sarebbe rimasta invisibile. E’ l’arte concettuale [02] perché esprime un’idea, Ed è arte perché nessuno l’aveva fatto prima.

Lucio Fontana - Concetto Spaziale, 1959

Oltre a essere diventata concettuale, l’arte è sempre più spettacolo. Christo (1935) & Jeanne-Claude (1935) [03], per esempio, sono diventati famosi per aver impacchettato, con teloni di plastica, edifici famosi (imballarono anche il monumento a Vittorio Emanuele, in Piazza Duomo a Milano, nel 1970): la loro arte consiste nel lasciare un segno sul territorio.

Christo & Jeanne Claude - Pont Neuf - Parigi, 1985

Richard Long (1945), altro esponente della Land art [04] (l’arte che agisce sul paesaggio), si esprime così: fa lunghe passeggiate in territori disabitati e lascia qualche traccia, per esempio una fila di pietre.

Richard Long - Tame Buzzard Line, 2001

Qui l’arte consiste in una denuncia sociale: la natura è spesso sopraffatta dall’arroganza dell’uomo.
Il californiano Walter De Maria (1935) era andato oltre, nel deserto del New Mexico, ha sfruttato i temporali per creare uno spettacolo di luce con i fulmini caduti su 400 pali metallici appuntiti. Scopo della Land art, scrive il critico Gillo Dorfles, non è tanto “imitare la natura, ma integrarsi ad essa”.

Walter De Maria - The Lightning Field, 1977

Un altro aspetto, in apparenza assurdo, dell’arte oggi è l’uso del corpo, iniziato dal gruppo dadaista [05], nato in Svizzera ai primi del ‘900. Artisti come il rumeno Tristan Tzara - pseudonimo di Sami Rosenstock (1896-1963) o il francese Hans Jean Arp (1887-1966) improvvisarono performance provocatorie facendo irruzioni nei teatri e recitando a braccio.
Con l’Action Painting [06], pittori come Paul Jackson Pollock (1912-1956) hanno compiuto un’evoluzione: l’artista dipingeva col proprio corpo, nel caso di Pollock ballando sulla tela e facendo sgocciolare il colore al ritmo di danze indiane.

Paul Jackson Pollock... al lavoro

Negli anni ’60, il tedesco Joseph Beuys (1921-1986) passò tre giorni in una gabbia con un coyote. Con I like America & America Likes Me (1974), messa in scena alla galleria di René Block, a New York, l’artista si ricoprì di feltro e trascorse ore insieme all’animale, per lui simbolo di un’America primitiva e non ancora contaminata dal consumismo.

Joseph Beuys - I like America & America Likes Me, 1974

Secondo Marina Pugliese, critico d’arte, a stabilire oggi quello che è arte è anche il giro di “mercanti, critici e galleristi che selezionano le opere, stabiliscono le tendenze e creano i casi”. Mesi fa a Milano, da Sotheby’s, un barattolo con 30 grammi di feci è stato venduto a 124.000 euro. Era uno dei celebri esemplari di Merda d’artista di Piero Manzoni (1933-1963), [07] che nel 1961 inscatolò le sue feci per lanciare un messaggio dissacrante: il vero artista, oggi, non è quello che sa disegnare perfettamente un albero, ma quello che riesce a vendere anche i suoi escrementi.

Piero Manzoni - Merda d'Artista, 1961

Se il valore di un’opera di Leonardo da Vinci si misura dalla sua perfezione tecnica e stilistica, per un’opera di oggi il valore (anche economico) dipende spesso da fattori esterni all’opera d’arte in quanto tale. Oggi, sottolinea Francesco Poli, docente di arte contemporanea all’Accademia di Brera, si cerca non tanto il talento quanto “il fenomeno”: ciò che riesce ad attirare l’attenzione del pubblico. Poi critici e mercanti d’arte gonfiano il caso, facendo lievitare le quotazioni dell’artista.

In questo sistema così fluido, quante volte rischiamo di trovarci di fronte a bufale?
“Tante” ride la gallerista milanese Claudia Gian Ferrari. “Per distinguere il Kitsch (termine usato per definire oggetti di cattivo gusto) sublime dal kitsch-e-basta c’è una regola: dobbiamo guardare un’opera con innocenza, come se fosse la prima volta. Ciò che conta è che non ci lasci indifferenti. Ma per formarci un gusto è essenziale guardare molte opere”.
Anche perché le tradizionali categorie bello/brutto non valgono più.
“Ci sono altri parametri” sottolinea Pugliese. “Un’opera deve far riflettere, sorprendere, stimolare, divertire. Un tempo il bello era l’armonia ideale, oggi questo sogno si è infranto perché nessuno crede più in una verità unica e universale. Oggi il bello è relativo, soggettivo e riflette le contraddizioni del mondo”.

E’ la nuova arte, che piaccia o no.


Roberta Scorronese è abruzzese di nascita ma vive e lavora a Milano.
Giornalista, scrive su numerose testate tra cui il Corriere della Sera.
Nel 2004 ha pubblicato, insieme a Pier Mario Fasanotti, Io non sono pazzo. Splendori e miserie di Salvador Dalì.
Un completo profilo di un grande artista, celebre per la sua attività “paranoico-critica”, sublime fonte d’ispirazione per i suoi quadri dalle visioni oniriche e barocche, in cui si fondono sacro e profano.

Francesco Bonami - Lo potevo fare anch’io - Perchè l’arte contemporanea è davvero arte
Mondadori Editore - Segrate (MI)
Collana Strade blu
Anno di pubblicazione: 2007
Formato: 15x21 - brossura
Pagine: 180

Francesco Poli
- Il sistema dell’arte contemporanea - Produzione artistica, mercato, musei
Laterza Editore - Bari/ Roma
Collana Universale Laterza
Anno di pubblicazione: 2007
Formato: brossura
Pagine: 214


NOTE

[01] Il termine "Readymade" risale al 1915, secondo la definizione che Duchamp stesso ne dà: "oggetto d'uso comune promosso alla dignità di oggetto d'arte dalla semplice scelta dell'artista".
Nel 1964 Marcel Duchamp autorizzò il suo gallerista Arturo Schwarz a produrre delle repliche di 13 Readymades ognuna tirata in 12 esemplari.

[02] Alla fine degli anni Settanta, in ambito internazionale, si evidenzia una nuova linea di tendenza che considera la produzione artistica come progetto astratto, teorico, solo formulato dal pensiero, completamente svincolato dalla realizzazione concreta e in aperta opposizione alla produzione artistica tradizionale. Tale tendenza, che afferma il valore primario della progettazione mentale, rispetto all'opera realizzata, prende il nome di Arte Concettuale. Essa rifiuta la realizzazione concreta perché ogni dipinto, ogni scultura rischiano, nella nostra società, di diventare una merce venduta a caro prezzo, considerata sul mercato un bene-rifugio che non si svaluta e succube dei meccanismi tipici della società dei consumi. L'arte è quindi intesa come idea, come conoscenza ed espressione attraverso il pensiero non come opera concreta.
(artemotore.com/storiadellarte/artenovecento)

[03] Christo Javacheff e Jeanne-Claude Denat de Guillebon.

[04] L'impostazione di pensiero del Concettuale ha influenzato, anche se con esiti molto diversificati, larga parte della ricerca artistica seguente. Sono nate così:
- l'Arte povera, come totale rifiuto del "bel materiale", della composizione struttura secondo precise regole, chiaro atteggiamento di ribellione verso l'arte intesa in senso tradizionale. Non si presentano più opere, ma informazioni, progetti, operazioni sulla realtà, insomma proposte aperte, modi di essere nel mondo, piuttosto che risultati definitivi;
- la Body art: l'opera è costituita dal corpo umano esposto in carne ed ossa e l'intervento dell'artista è sul corpo stesso, anche con azioni violente; tali esibizioni vengono riprese in diretta da una televisione a circuito chiuso. L'artista si avvale abilmente del proprio corpo con azioni pubbliche, dove qualunque movimento assume particolare significato. Gli artisti della Body art talvolta vengono anche definiti "comportamentisti". Certe loro manifestazioni sconfinano in vere e proprie forme di teatro-performance;
- la Land art: propone interventi non sulla natura, come già avvenuto in passato, ma nella natura, non con scopi ornamentali, ma per prendere coscienza dell'ordine naturale degli elementi, che l'uomo moderno ha completamente sconvolto. La società tecnologica ha alterato il rapporto uomo-natura ed è l'artista, più di ogni altro, che ne vive il profondo disagio, che ne avverte lo sconfinato pericolo.
L'Arte povera, la Body art, la Land art, si pongono indubbiamente come provocazione al meccanismo di accaparramento da parte dei grandi collezionisti di opere d'arte che spesso, più per snobismo che per reale desiderio e conoscenza, acquistano opere, che considerano soprattutto come valida forma di investimento.
Il gruppo promotore dell'Arte Concettuale è quello inglese dell'Arte Language, e soprattutto l'artista Kosuth. Altri artisti di questa tendenza e delle sue derivazioni sono: Burgin, Prini, Kawara, Venet, Ramsden, Merz, Zorio, Pistoletto, Beuys, Isgrò, Christo, Dibbets, Oppenheim, Gina Pane, Smithson. (artemotore.com/storiadellarte/artenovecento)

[05] Il movimento Dada nasce intorno agli anni Venti del Novecento, come forma di provocazione, piuttosto che come corrente artistica vera e propria. Già nella scelta, fatta a caso, della denominazione del movimento (la parola "dada" non significa nulla) si rileva l'atteggiamento assunto dai Dadaisti. Le conquiste tecnologiche che dovevano portare ad un mondo nuovo, hanno invece condotto alla guerra; i Dadaisti attaccano con feroce ironia le convenzioni e le regole della società, accettate in genere passivamente dalla massa. Il gruppo Dada pertanto vuole contestare e scandalizzare negando tutto del passato: l'opera d'arte deve esprimere ribellione. Le immagini non devono essere progettate, ma nascere anche per caso; i materiali che costituiscono un'opera d'arte possono anch'essi essere trovati per caso. Così le opere Dada sono caratterizzate dall'assemblaggio di materiali disparati, come ad esempio biglietti ferroviari, tappi di sughero, chiodi. Vengono proposti, come espressioni d'arte, oggetti qualsiasi: uno scola-bottiglie, una ruota di bicicletta o anche oggetti "assurdi" come una tazzina di caffè realizzata in pelliccia, o un ferro da stiro chiodato. Tutto può essere opera d'arte - dicono i Dadaisti - se è firmato ed esposto in una mostra. Le loro opere vengono perciò definite "non-arte" oppure "anti-arte". Tuttavia esse stanno a testimoniare un nuovo modo di esprimersi, non privo di una ricerca estetica con i richiami a forme del linguaggio cubista e futurista.
I principali esponenti del movimento Dada sono: Duchamp, Picabia, Man Ray, Arp, Schwitters. (artemotore.com/storiadellarte/artenovecento)

[06] Nella linea di ricerca dell'Informale si manifesta negli Stati Uniti, intorno agli anni Cinquanta del secolo passato, una tendenza definita Action Painting (pittura d'azione). E' una tendenza particolare della scuola di New York, che attribuiscono al gesto del dipingere, all'azione in quanto tale, il ruolo determinante nell'esperienza dell'artista. Anche gli artisti dell'Action Painting, come già quelli dell'Informale, si esprimono attraverso modi differenziati:
Jackson Pollock predilige la tecnica del dripping (sgocciolamento del colore);
Willem De Kooning accosta colori violenti alla maniera espressionista: la sua pittura è chiamata proprio “espressionismo astratto”;
Franz Kline utilizza grandi segni neri su fondo unicamente ed ossessivamente bianco.
Le successive manifestazioni artistiche americane New Dada e Pop-art hanno le loro radici nell'Action Painting.
I principali esponenti dell'Action Painting sono:
Pollock, De Kooning, Kline, Tobey. (artemotore.com/storiadellarte/artenovecento)

[07] Nel maggio 1961 Piero Manzoni sigillò le proprie feci (o comunque lo fece credere) in 90 barattoli di conserva, ai quali applicò un'etichetta con la scritta Merda d'Artista in inglese, francese, tedesco e italiano. Sulla parte superiore del barattolo è apposto un numero progressivo da 1 a 90 insieme alla firma dell'artista. Manzoni mise in vendita i barattoli di circa 30 grammi ciascuno ad un prezzo pari all'equivalente in oro del loro peso.
A Milano, il 23 maggio 2007 nelle sale della casa d'aste Sotheby's, un collezionista privato europeo si è aggiudicato l'esemplare numero 18 a 124.000 euro: record d'asta mondiale per una delle 90 opere.
Il Corriere della Sera dell’11.06.2007 riporta un articolo di Agostino Bonalumi, amico di strada di Piero Manzoni, il quale ha dichiarato che in realtà all'interno delle famose scatole non era contenuto altro che gesso.

2 commenti:

Marco Ennis Mariani ha detto...

Se.... "il peggio che può capitare a un genio è di essere compreso"

ci sta bene anche ..."vivo nel terrore di non essere frainteso"
(Oscar Wilde)

Buona sera ninny e mary,
sono capitato per caso nel vostro blog e ho apprezzato molto l'articolo che avete riportato sulla "art contemporaine".

Grazie, - dunque!
Un allegro saluto, Ennis

Francesca Mancini ha detto...

Grazie Ninni, grazie Mary!
bellissimo articolo!