Gian Luigi Rondi (1921) crtico cinematografico.
Sergio Rubini racconta il sud, i sogni della sua Puglia nel film L’UOMO NERO, una commedia sentimentale ambientata negli anni ’60.
L'hanno dimostrato certi suoi film di successo quali “Tutto l'amore che c'è”, “L'anima gemella” e, soprattutto “La terra”. Lo dimostra anche il film di oggi, più scopertamente autobiografico dei precedenti, visto con gli occhi di un ragazzetto di una cittadina di provincia accudito da una mamma tenera ma spesso coinvolto nelle ire un po' nevrotiche di un papà che, pur facendo di mestiere il capostazione, ai treni preferisce la pittura. A tal segno da volere un giorno organizzare con i suoi dipinti una mostra dedicata un po' temerariamente a Degas di cui ha copiato l'autoritratto conservato nel museo di Bari. Naturalmente non ha successo, i due critici d'arte locali lo stroncano e continueranno così anche quando lui organizzerà alle loro spalle una beffa che dovrebbe farli ricredere...
I punti di forza del film sono proprio, nel disegno vivace di quella passione per la pittura da cui il padre è affetto. Si tiene in equilibrio sagace fra la commedia ed il dramma, evocandovi attorno una famiglia e un coro di gente paesana affidati in più momenti a colori vividi, qua con accenti caricaturali, là con puntate nell'onirico, dato che il ragazzetto che guarda e ricordando ci racconta ha spesso, anche di giorno, incubi e visioni; a cominciare dall'Uomo Nero del titolo.
In altri momenti il testo, che Rubini ancora una volta si è scritto con i suoi fedeli Domenico Starnone e Carla Cavalluzzi, insiste un po' in episodi marginali, proponendo figure di contorno che non favoriscono la linearità della storia di quel padre pittore dilettante. Nel suo insieme, comunque, il film può convincere perché ha tensioni, ritmi e atmosfere che, specie quando nelle sue cornici provinciali predomina il realismo, pretendono una plausibile attenzione. La facilitano gli interpreti. Non solo lo stesso Rubini che incide a tutto tondo quel suo personaggio passionale e fanatico, ma Valeria Golino, una moglie trepida dagli accenti misurati, e Riccardo Scamarcio un cognato nei panni abilmente ricostruiti di un pittoresco seduttore di paese, destinato però al grigiore.
I punti di forza del film sono proprio, nel disegno vivace di quella passione per la pittura da cui il padre è affetto. Si tiene in equilibrio sagace fra la commedia ed il dramma, evocandovi attorno una famiglia e un coro di gente paesana affidati in più momenti a colori vividi, qua con accenti caricaturali, là con puntate nell'onirico, dato che il ragazzetto che guarda e ricordando ci racconta ha spesso, anche di giorno, incubi e visioni; a cominciare dall'Uomo Nero del titolo.
In altri momenti il testo, che Rubini ancora una volta si è scritto con i suoi fedeli Domenico Starnone e Carla Cavalluzzi, insiste un po' in episodi marginali, proponendo figure di contorno che non favoriscono la linearità della storia di quel padre pittore dilettante. Nel suo insieme, comunque, il film può convincere perché ha tensioni, ritmi e atmosfere che, specie quando nelle sue cornici provinciali predomina il realismo, pretendono una plausibile attenzione. La facilitano gli interpreti. Non solo lo stesso Rubini che incide a tutto tondo quel suo personaggio passionale e fanatico, ma Valeria Golino, una moglie trepida dagli accenti misurati, e Riccardo Scamarcio un cognato nei panni abilmente ricostruiti di un pittoresco seduttore di paese, destinato però al grigiore.
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