Sono potenziali fonti di responsabilità civile.
Primizia assoluta in materia: avventati inserimenti di materiale e commenti a briglia sciolta su Facebook possono originare elevate richieste risarcitorie a titolo di danni non patrimoniali.
Lo afferma categoricamente il Tribunale di Monza in una pronuncia del 2 marzo 2010 con cui ha attribuito a favore di una ragazza, lesa in modo plateale nella reputazione e nell’onore dal suo ex fidanzato, l’importo di 15.000,00 Euro per il “danno morale soggettivo inteso quale transeunte turbamento dello stato d'animo della vittima del fatto illecito, vale a dire come complesso delle sofferenze inferte alla danneggiata dall'evento dannoso, indipendentemente dalla sua rilevanza penalistica”.
Il convenuto aveva aggiunto ad una foto della giovane “postata” sul social network un commento inappropriato e non consono, menzionando addirittura difetti fisici (strabismo), psichici e preferenze sessuali della giovane che aveva conosciuto proprio, ironia della sorte, tramite il social network.
Il pregiudizio che si origina da siffatte tipologie di condotte è pressoché inemendabile. Il Giudice Civile brianzolo, che é, salvo omonimia sempre possibile, il noto Dott. Piero Calabrò, famoso per l'attività di contrasto alla criminalità, non ha mancato di evidenziare che “coloro che decidono di diventare utenti… sono ben consci non solo delle grandi possibilità relazionali offerte dal sito, ma anche delle potenziali esondazioni dei contenuti che vi inseriscono”; ricorda il Presidente del Tribunale della Brianza che, al cospetto di tali intemperanze lessicali e di condotta, si configura il “rischio in una certa misura indubbiamente accettato e consapevolmente vissuto” per l'utilizzatore di Facebook.
Talché, boutade ed amenità aggiunte per essere fruibili soltanto da una cerchia ristretta di amici sono suscettibili di enorme e diuturna propalazione in virtù dei meccanismi di diffusione e di amplificazione, del tipo del “tagging”, che equivale ad etichettare (dall’anglismo “tag”, appunto etichetta) i contenuti nell’oceanica messe informativa che offre internet.
La fattispecie in disamina è stata reputata riconducibile alla previsione astratta di cui all’Art. 594 Codice Penale (ingiuria) ovvero in quella più grave di cui all’Art. 595 stesso testo (diffamazione) in considerazione del carattere pubblico del contesto che ebbe a ospitare tali gratuite divulgazioni coram populo.
Autore
Avv. Paolo M. Storani
Civilista e penalista, dedito in particolare alla materia della responsabilità civile
Fonte: studiocataldi.it
Primizia assoluta in materia: avventati inserimenti di materiale e commenti a briglia sciolta su Facebook possono originare elevate richieste risarcitorie a titolo di danni non patrimoniali.
Lo afferma categoricamente il Tribunale di Monza in una pronuncia del 2 marzo 2010 con cui ha attribuito a favore di una ragazza, lesa in modo plateale nella reputazione e nell’onore dal suo ex fidanzato, l’importo di 15.000,00 Euro per il “danno morale soggettivo inteso quale transeunte turbamento dello stato d'animo della vittima del fatto illecito, vale a dire come complesso delle sofferenze inferte alla danneggiata dall'evento dannoso, indipendentemente dalla sua rilevanza penalistica”.
Il convenuto aveva aggiunto ad una foto della giovane “postata” sul social network un commento inappropriato e non consono, menzionando addirittura difetti fisici (strabismo), psichici e preferenze sessuali della giovane che aveva conosciuto proprio, ironia della sorte, tramite il social network.
Il pregiudizio che si origina da siffatte tipologie di condotte è pressoché inemendabile. Il Giudice Civile brianzolo, che é, salvo omonimia sempre possibile, il noto Dott. Piero Calabrò, famoso per l'attività di contrasto alla criminalità, non ha mancato di evidenziare che “coloro che decidono di diventare utenti… sono ben consci non solo delle grandi possibilità relazionali offerte dal sito, ma anche delle potenziali esondazioni dei contenuti che vi inseriscono”; ricorda il Presidente del Tribunale della Brianza che, al cospetto di tali intemperanze lessicali e di condotta, si configura il “rischio in una certa misura indubbiamente accettato e consapevolmente vissuto” per l'utilizzatore di Facebook.
Talché, boutade ed amenità aggiunte per essere fruibili soltanto da una cerchia ristretta di amici sono suscettibili di enorme e diuturna propalazione in virtù dei meccanismi di diffusione e di amplificazione, del tipo del “tagging”, che equivale ad etichettare (dall’anglismo “tag”, appunto etichetta) i contenuti nell’oceanica messe informativa che offre internet.
La fattispecie in disamina è stata reputata riconducibile alla previsione astratta di cui all’Art. 594 Codice Penale (ingiuria) ovvero in quella più grave di cui all’Art. 595 stesso testo (diffamazione) in considerazione del carattere pubblico del contesto che ebbe a ospitare tali gratuite divulgazioni coram populo.
Autore
Avv. Paolo M. Storani
Civilista e penalista, dedito in particolare alla materia della responsabilità civile
Fonte: studiocataldi.it
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