TOTTA e DYLAN

Il monologo di Masaniello



Aldo Grasso (1948) giornalista e critico televisivo.




Se uno amasse davvero il Servizio pubblico dovrebbe cominciare ad astenersi dall’usare il Servizio pubblico per fatti personali, per regolare i propri conti con chi la pensa in maniera diversa, per ergersi a Sentinella Unica della Democrazia. E invece, ancora una volta, Michele Santoro ha aperto “Annozero” con un lunghissimo intervento dedicato alle sue vicende, al suo addio all’azienda. Un monologo di venti minuti contro tutti, scritto e recitato, lo sguardo allucinato rivolto alla telecamera, uno show militante, un delirio di onnipotenza che farà testo. Ci sono molti modi per dirsi addio, anche in campo professionale, alcuni più eleganti e discreti, altri meno. Santoro ha scelto il più clamoroso, usando persino espressioni che appartengono al gergo delle vecchie soubrette (“il mio pubblico”). Ha alzato il dito contro Sergio Zavoli, contro la Commissione di vigilanza, contro i vertici Rai, contro i politici del PD che non lo hanno sostenuto, contro i direttori di giornale che non gli hanno dedicato un martirologio. Nell’invettiva, si è chiesto a gran voce se deve ritenersi un giornalista scomodo per la Rai o una risorsa strategica per l’azienda.


Si è anche dato una risposta. Nella foga ha persino detto che il suo programma “dev’essere considerato la perla del Servizio pubblico”. Quello che non si è capito è se vuole veramente andarsene oppure restare: “L’accordo non è ancora stato firmato. Se voi pensate che Annozero sia un prodotto proibito, scabroso del Servizio pubblico, che non prevede quel tasso di libertà, di spregiudicatezza, di senso critico, allora lasciatemi andare via”. Poi il coup de théâtre finale: “Volete che rimanga in Rai? Chiedetemelo”. Più correttamente, avrebbe dovuto dire: rivolgetevi al mio agente Lucio Presta.

Se Santoro lascia la Rai sarà una perdita: sa fare il suo mestiere, è una voce critica, non governativa, procura profitti all’azienda.
Ma Santoro dovrebbe una buona volta smettere di credersi il Masaniello della TV, il solo tutore delle nostre coscienze e liberarsi di quella grossolanità ideologica che mette i buoni da una parte e i cattivi dall’altra.
Col passare del tempo, questo suo vizio antico si è ingigantito e i cattivi sono diventati tutti gli altri e il buono (il generale Custer assediato dagli indiani) è rimasto solo lui, ipertrofico e autocompiaciuto.

Un venditore ambulante di libertà.
Certo con il suo pubblico, i suoi adepti, le sue tricoteuses.

corriere.it - 21 maggio 2010

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